Pubblichiamo il testo della lettera di commiato del nostro Cardinale Angelo Scola che, giunto alla fine del suo servizio, ha voluto rivolgere a tutti e a ciascuno il ringraziamento per il supporto al suo operato.
Carissime e
carissimi,
con questa
lettera desidero raggiungere tutti i battezzati, le donne e gli uomini delle
religioni e di buona volontà, per esprimere la mia gratitudine per il dono
della Visita Pastorale Feriale giunta ormai alla sua conclusione.
Nelle sue tre
fasi, essa ha consentito a me e ai miei collaboratori di toccare con mano la
vita di comunione in atto nella Chiesa ambrosiana, non certo priva di
difficoltà e di conflitti e tuttavia appassionata all’unità. La preparazione
della Visita, svoltasi in modo forse un po’ diseguale nei vari decanati,
l’atteggiamento di ascolto profondo in occasione dell’assemblea ecclesiale con
l’Arcivescovo, la cura nell’accogliere nelle realtà pastorali il Vicario di
Zona o il Decano, e la proposta del passo da compiere sotto la guida del
Vicario Generale, hanno confermato ai miei occhi la vitalità di comunità
cristiane non solo ben radicate nella storia secolare della nostra Chiesa, ma
capaci di tentare, su suggerimento dello Spirito, adeguate innovazioni. Questa
attitudine di disponibilità al cambiamento l’ho toccata con mano sia nelle
parrocchie del centro, sia nelle grandi parrocchie di periferia, esplose negli
ultimi sessant’anni, sia nelle città della nostra Diocesi, sia nelle parrocchie
medie e piccole.
È stata però
la Visita del Papa a farmi cogliere nitidamente l’elemento che unifica le
grandi diversità che alimentano la nostra vita diocesana. La venuta tra noi del
Santo Padre è stata, infatti, un richiamo così forte da rendere visivamente
evidente che la nostra Chiesa è ancora una Chiesa di popolo. Certo, anche da
noi il cambiamento d’epoca fa sentire tutto il suo peso. Come le altre
metropoli, siamo segnati spesso da un cristianesimo “fai da te”: ce l’hanno
testimoniato gli arcivescovi di grandi Chiese in tutto il mondo che in Duomo
hanno raccontato l’esperienza delle loro comunità. Non manca confusione su
valori imprescindibili; spesso non è chiaro il rapporto tra i diritti, i doveri
e le leggi… Ma è inutile insistere troppo sull’analisi degli effetti della
secolarizzazione su cui ci siamo soffermati in tante occasioni. Più utile, anzi
necessario, è domandarci – con ancora negli occhi il popolo della Santa Messa
nel parco di Monza, l’incontro con i ragazzi a San Siro, l’abbraccio al Santo
Padre degli abitanti delle Case bianche e dei detenuti di San Vittore, e
soprattutto la folla che ha accompagnato la vettura del Papa lungo tutti i 99
km dei suoi spostamenti – che responsabilità ne viene per noi? Come coinvolgere
in questa vita di popolo i tantissimi fratelli e sorelle battezzati che hanno
un po’ perso la via di casa? Come proporre con semplicità in tutti gli ambienti
dell’umana esistenza la bellezza dell’incontro con Gesù e della vita che ne
scaturisce? Come rivitalizzare le nostre comunità cristiane di parrocchia e di
ambiente perché, con il Maestro, si possa ripetere con gusto e con semplicità a
qualunque nostro fratello “vieni e vedi”? Come comunicare ai ragazzi e ai
giovani il dono della fede, in tutta la sua bellezza e “con-venienza”? In una
parola: se il nostro è, nelle sue solidi radici, un cristianesimo di popolo,
allora è per tutti. Non dobbiamo più racchiuderci tristi in troppi piagnistei
sul cambiamento epocale, né ostinarci nell’esasperare opinioni diverse
rischiando in tal modo di far prevalere la divisione sulla comunione. Penso qui
alla comprensibile fatica di costruire le comunità pastorali o nell’accogliere
gli immigrati che giungono a noi per fuggire dalla guerra e dalla fame. Ma, con
una limpida testimonianza, personale e comunitaria, con gratitudine per il dono
di Cristo e della Chiesa, siamo chiamati a lasciarlo trasparire come un invito
affascinante per quanti quotidianamente incontriamo.
A queste
poche e incomplete righe vorrei aggiungere una parola su quanto la Visita
Pastorale ha dato a me, Arcivescovo. Lo dirò in maniera semplice: durante la
celebrazione dell’Eucaristia nelle tante parrocchie e realtà incontrate, così
come nei saluti pur brevi che ci siamo scambiati dopo la Messa, e, in modo
speciale, nel dialogo assembleare cui ho fatto riferimento, ho sempre ricevuto
il grande dono di una rigenerazione della mia fede e l’approfondirsi in me di
una passione, quasi inattesa, nel vivere il mio compito. Ma devo aggiungere
un’altra cosa a cui tengo molto. Ho appreso a conoscermi meglio, a fare miglior
uso dei doni che Dio mi ha dato e, nello stesso tempo, ho imparato un po’ di
più quell’umiltà (humilitas) che segna in profondità la nostra storia. Ho
potuto così, grazie a voi, accettare quel senso di indegnità e di inadeguatezza
che sorge in me tutte le volte che mi pongo di fronte alle grandi figure dei
nostri patroni Ambrogio e Carlo.
Se
consideriamo la Visita Pastorale Feriale dal punto di vista profondo che la
fede, la speranza e la carità ci insegnano, e non ci fermiamo a reazioni emotive
o solo sentimentali, non possiamo non riceverla come una grande risorsa che lo
Spirito Santo ha messo a nostra disposizione e che ci provoca ad un cammino più
deciso e più lieto. Seguendo la testimonianza di Papa Francesco, la grande
tradizione della Chiesa milanese può rinnovarsi ed incarnarsi meglio nella
storia personale e sociale delle donne e degli uomini che abitano le terre
ambrosiane.
La Solennità
della Santissima Trinità che oggi celebriamo allarga il nostro cuore e rende
più incisivo l’insopprimibile desiderio di vedere Dio: «Il mio cuore ripete il
tuo invito: “Cercate il mio volto”. Il tuo volto Signore io cerco, non
nascondermi il tuo volto» (Sal 27 [26] 8-9a).
Angelo Card.
Scola
Arcivescovo
Nella
Solennità della Santissima Trinità
Milano, 11 giugno 2017